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Istrana è un comune italiano di 8.223 abitanti della provincia di Treviso in Veneto. Istrana è conosciuta per il suo aeroporto militare sede del 51° Stormo dell'Aeronautica Militare, dove è ubicata, peraltro, la stazione meteorologica di Treviso.
Il 21 novembre 1981 la sua pista ha ospitato una gara tra Gilles Villeneuve, alla guida della Ferrari 126 Ck, e Daniele Martinelli al comando di un F104S.
Cenni Storici:
L’origine del nome di Istrana è affidato a varie congetture. La più attendibile sembra essere quella derivata da un agro locale di centuriazione romana che sarebbe stato sancito con la denominazione di Charta Histriana.Notevoli e ricorrenti, infatti, i richiami all’esistenza romana e preromana da queste parti, con cospicui ritrovamenti.I reperti più antichi, molto numerosi, risalgono ai periodi preromano e romano. Una delle tracce più evidenti, a proposito, è la via Postumia, realizzata nel 147 a.C. dal console Spurio Postumio Albino Magno e che tuttora rappresenta un'importante arteria stradale che scorre in linea retta a nord di Sala.I primi riferimenti toponomastici, comunque, compaiono a partire dal X secolo: Pezzan e Sala sono citate nel 996, Ospedaletto nel 997, Villanova nel 1014; Istrana, poi, è ricordata ancora più tardivamente (bolla Justis fratrum del 1152) tra le pievi della diocesi di Treviso.
Con la conquista della Serenissima, il territorio fu al centro degli interessi del patriziato veneziano che incentivò l'agricoltura ma anche l'arte locale (si ricordano alcune ville venete e le ricostruzioni di edifici sacri).
Durante la prima guerra mondiale Istrana si trovò nelle retrovie del fronte del Piave e ospitò un'infermeria, mentre a Sala venne aperto un aeroporto legato all'eroe Francesco Baracca.
Anche durante la seconda guerra mondiale soffrì bombardamenti e rappresaglie vista la sua posizione strategica
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Associazione, Nazionale, Carabinieri, Istrana, Morgano, A.N.C., Risorgimento, Repubblica, 150°, anniversario Unità, Italia, Virgo, Fidelis
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Morgano è un comune italiano di 4.245 abitanti della provincia di Treviso, in Veneto. Si tratta di un comune sparso in quanto sede comunale è la frazione Badoere.
La struttura urbanistica è impostata su via San Martino (già via Bigolo e via Morgano) e sul corso del fiume Sile.
Cenni Storici:
Il territorio conserva tracce di presenza umana riferibili ad insediamenti di epoca preistorica. L'insediamento dell'attuale Morgano ebbe tuttavia origine forse in epoca romana, tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I d.C., quando l'intera zona fu centuriata.Le prime notizie di Morgano si riferiscono all'esistenza di una chiesa dedicata a san Martino di Tours, che fu forse fondata intorno al IX secolo dai Franchi e che alla fine del XII doveva già essere un centro di culto importante.
Morgano è una delle località interessate dalle vicende umane e storiche che si svolsero tra il XI secolo e il XIII secolo e dalle numerose proprietà che videro protagonisti i vari componenti della famiglia degli Ezzelini. Proprietà che furono certosinamente accertate, censite e documentate dopo la loro definitiva sconfitta avvenuta nel 1260.
Fu feudo della famiglia comitale che ne assunse il nome: i conti Da Morgano ebbero un ruolo rilevante nella vita politica trevigiana, fino a quando non caddero in disgrazia, avendo complottato per consegnare Treviso a Cangrande della Scala, nel 1318.
Con l'annessione al governo della Serenissima il territorio fu suddiviso fra grandi proprietà terriere, gestite dai membri di poche nobili famiglie veneziane: i Basadonna, i Badoer, i Marcello.
Il primo castello di Morgano era stato incendiato e distrutto nel 1234, nel corso di una guerra tra padovani e trevigiani; più tardi, nel 1405, fu costruito un secondo fortilizio a Settimo, lungo il Sile, voluto dai Veneziani come protezione contro gli attacchi carraresi.
La popolazione condivise il destino degli abitanti l'entroterra veneto e godette di una certa prosperità, perché la presenza delle acque (il Sile, lo Zero, il Rio) garantì la pesca e le attività legate all'industria molitoria.
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Saluzzo, cittadina sabauda e
piemontese sino al midollo, lo vede nascere il 27 settembre 1920.
E' un figlio d'arte: il papà ufficiale dei Carabinieri (Romano), il
fratello pure (Romolo). Il primo contatto con la vita militare è la
dura guerra nel Montenegro come sottotenente nel 1941. Un anno dopo
passa ai Carabinieri e viene assegnato alla tenenza di San
Benedetto del Tronto dove resta fino al fatidico 8 settembre
1943.
Passa nella provincia di Ascoli Piceno e un bel giorno viene
affrontato da un partigiano comunista. I partigiani della zona
temevano che lui fosse responsabile del blocco dei rifornimenti di
armi che gli alleati di tanto in tanto riuscivano a spedire via
mare.
Alla domanda "Lei con chi sta, tenente, con l'Italia o la
Germania?", Dalla Chiesa risponde offrendo la sua
collaborazione e per un certo periodo le cose filano a meraviglia.
Poi, purtroppo qualcuno fa la spia e per Dalla Chiesa è meglio
cambiare aria e darsi alla macchia insieme agli altri patrioti:
diventa un responsabile delle trasmissioni radio clandestine di
informazioni per gli americani.
La guerra si chiude per lui con una promozione e due croci al
merito di guerra, tre campagne di guerra, una medaglia di
benemerenza per i volontari della II GM, il distintivo della guerra
di liberazione ed una laurea in giurisprudenza conseguita a Bari.
In quella stessa università prenderà più tardi la laurea in scienze
politiche.
La Sicilia che lo vede arrivare giovane capitano è immersa nel
regno di terrore della mafia agraria, quella di Don Calò Vizzini,
di Genco Russo e di Luciano Leggio. E' una mafia che poi verrà
rievocata con nostalgia quando emergeranno nuovi e ferocissimi
boss, ma in realtà era solo più arcaica, non meno spietata.
Cosa Nostra ha stretto un patto di ferro con i più retrivi
latifondisti che temono le lotte e le rivendicazioni contadine
guidate dai sindacalisti comunisti e socialisti.
Nei covi di
Corleone
Per Lucianeddu Leggio (più conosciuto come Liggio), il segretario
della Camera del Lavoro di Corleone, Placido Rizzotto rappresenta
una spina nel fianco. Parla troppo, protesta troppo, intralcia
troppo. Rizzotto, un semplice bracciante, cresciuto tra le insidie
di una mafia occhiuta ed oppressiva, è un tipo prudente e cauto che
non manca di prendere le sue precauzioni. Leggio affida il compito
ai suoi giovani cagnazzi, "Binnu" e "Totò u' curtu". Calogero
Bagarella, Bernardo Provenzano e Totò Riina sono picciotti
fedelissimi, aggressivi, spavaldi, che si mostrano in paese
arrancando con il caratteristico incedere mafioso. Sono furbi e si
rendono conto che bisogna prendere Rizzotto per tradimento.
Un giuda si trova. Il 10 marzo 1948 il sindacalista viene caricato
su una macchina, portato in luogo sicuro, torturato e suppliziato.
Il suo cadavere viene gettato in una forra Lo trovano molto tempo
dopo e riconoscono i resti da uno scarpone.
Dalla Chiesa è chiamato dal colonnello Ugo Luca nel nuovissimo CFRB
(Comando Forze Repressione Banditismo), che ha la missione di farla
finita con Salvatore Giuliano, il re di Montelepre. A lui viene
affidato il comando del gruppo squadriglie, basato a Corleone. Qui
il piemontese ha primo impatto con questo tortuoso ambiente.
E' un ufficiale abile, duro, inflessibile, gran lavoratore, non
meno paziente dei suoi avversari corleonesi. A dispetto dell'omertà
e della paura estremamente diffuse riesce insieme ai suoi colleghi
a inchiodare tutti gli assassini di Rizzotto e a spedirli sotto
processo, incluso Leggio.
Vittoria di Pirro. Il processo si conclude con una serie di
assoluzioni per insufficienza di prove. Il giovane capitano viene
opportunamente trasferito. Premio, siluramento, precauzione?
Chissà. La Sicilia gli è rimasta dentro al cuore.
Da ufficiale superiore è aiutante maggiore della legione e capo
ufficio OAIO (Ordinamento Addestramento Informazioni Operazioni)
della IV brigata di Roma e della legione di Torino. Poi regge i
comandi del nucleo di polizia giudiziaria e del gruppo di
Milano.
A caccia di battesimi e
nozze
Negli anni Sessanta Carlo Alberto torna
nell'isola del suo destino e per oltre 7 anni gli viene affidato
come colonnello il Comando della Legione di Palermo
(1966-1973).
Qualcosa dallo scacco di quindici anni fa l'ha imparata. Bisogna
conoscere a fondo la situazione e raccogliere quante più prove
possibili, facendo i conti con la realtà del posto.
Cosa Nostra non è stata con le mani in mano e si è adeguata
rapidamente ai tempi nuovi. Ha progressivamente spostato i suoi
interessi dal settore dell'agricoltura in cui aveva operato per
oltre un secolo, a quelli industriale e commerciale, specialmente
nel campo dell'edilizia e dei lavori pubblici. I tradizionali
rapporti di "strusciamento con il potere" si rafforzano
specialmente con le istituzioni amministrative e politiche in modo
da influire sulle direttrici di sviluppo edilizio delle città,
sull'ubicazione delle opere pubbliche, sulle destinazioni dei
finanziamenti, sugli appalti.
Lo scambio è sempre lo stesso: appoggio politico contro concessioni
illegali di licenze e appalti. Il risultato è che gradualmente una
serie di politici aiutano l'espandersi delle attività economiche
mafiose, quando i rappresentanti mafiosi non sono direttamente
inseriti nel tessuto politico ed amministrativo.
Alla base dell'organizzazione c'è la 'famiglia', rigidamente
ancorata al territorio. In essa ci sono gli uomini d'onore o
soldati, comandati dai capidecina, guidati da un capo famiglia o
rappresentante coadiuvato da un vice e da uno o più consiglieri.
Più famiglie sono rette dai capi mandamento che siedono nella
cupola o commissione provinciale.
Una struttura del genere è difficile da infiltrare, ma qualcosa si
può sempre sapere ed è possibile conoscere la struttura attraverso
il legame della famiglia. Sentiamo cosa diceva Dalla Chiesa alla
commissione antimafia del 1962.
"Onorevole presidente, scoprirli [i capi mafiosi] non è
difficile, in quanto i nomi sono sulle bocche di molti. (...)
Vorrei mostrare (...) una scheda, che io ho preparato per la mia
legione, per tutti i miei collaboratori, dedicata proprio ai
mafiosi o indiziati tali.(...) attraverso le parentele e i
comparati, che valgono più delle parentele, si può avere una
visione organica della famiglia, della genealogia, più che
un'anagrafe dei mafiosi. Quest'ultima è limitata al personaggio; la
genealogia di ciascun mafioso ci porta invece a stabilire chi ha
sposato il figlio del mafioso, con chi si è imparentato, chi ha
tenuto a battesimo, chi lo ha avuto come compare di matrimonio; e
tutto questo è mafia, è propaggine mafiosa (...) ... è molto più
efficace seguire i mafiosi così, cioè non attraverso la scheda
solita del ministero dell'Interno, ma da vicino, attraverso i
figli, attraverso i coniugi dei figli, attraverso le provenienze,
le zone dalle quali provengono, perché anche le zone d'influenza
hanno la loro importanza".
Non è una trovata trascendentale, ma è il metodo e la costanza con
cui ci si applica che danno i risultati.
Nel 1966 un vero e proprio censimento degli uomini d'onore è stato
finalmente realizzato e si conclude con l'arresto di 76 boss. Gente
come Frank Coppola (Frank Tre dita) e Gerlando Alberti vengono
arrestati e spediti al soggiorno obbligato.
Il trionfo sulle Brigate
rosse
All'epoca Dalla Chiesa credeva moltissimo al
soggiorno obbligato, più tardi si accorgerà che era a doppio
taglio: allontanava i boss dalle loro zone e favoriva l'estendersi
della piovra altrove.
Poi i processi vanificheranno di nuovo la sua opera e un Dalla
Chiesa più disilluso dichiarerà alla commissione antimafia riunita
il 4 novembre 1970: "Siamo senza unghie, ecco; francamente, di
fronte a questi personaggi, mentre nell'indagine normale, nella
delinquenza, possiamo far fronte e abbiamo ottenuto anche dei
risultati di rilievo, nei confronti del mafioso in quanto tale, in
quanto inquadrato in un contesto particolare, è difficile per noi
raggiungere le prove...".
Non c'è però tempo per i rimpianti. La lotta al terrorismo
coinvolge presto Dalla Chiesa, ormai promosso generale.
Dall'ottobre 1973 al marzo 1977 comanda la Brigata di Torino. Poi
nel maggio 1977 assume l'incarico di coordinamento del servizio di
sicurezza degli istituti di prevenzione e pena. Prima del suo
arrivo le evasioni spettacolari avevano insinuato il sospetto che
nelle carceri si potesse fare di tutto. Dopo la "cura" del generale
vengono fuori le cosiddette supercarceri dalle quali la fuga è
praticamente impossibile. Si tratta di un duro colpo sia per i
terroristi che per i mafiosi, come ben sa Totò Riina finito proprio
in uno di questi istituti di massima sicurezza.
Successivamente (settembre 1978) assume anche le funzioni di
coordinamento e di cooperazione tra Forze di Polizia nella lotta al
terrorismo.
Dallas, come lo soprannominano affettuosamente i suoi con una
contrazione, è sempre un militare tutto d'un pezzo. Gira senza
scorta perché crede che un ufficiale, all'assalto, non ci va con la
scorta, ma sa benissimo coprirsi le spalle dalle insidie dei
palazzi romani.
Quando riceve i pieni poteri per la lotta alle Brigate Rosse una
stampa faziosa lo dipinge come un futuro uomo forte della scena
politica italiana. Lui non si muove prima di una discreta e attenta
gestione delle pubbliche relazioni, che gli garantisce un segnale
di via libera anche da parte delle opposizioni.
Solo allora attua la sua controguerriglia urbana, conseguendo
prestigiosi successi, celebrati dalla stampa nazionale ed
internazionale, arrestando i capi storici delle Brigate Rosse e
contribuendo validamente a debellare il fenomeno in Italia.
"I nostri reparti dovevano vivere la stessa vita clandestina
delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai capo alle caserme:
vennero affittati in modo poco ortodosso gli appartamenti di cui
avevamo bisogno, usammo auto con targhe false, telefoni intestati a
utenti fantasma, settori logistici ed operativi distanti tra loro.
I nostri successi costarono allo Stato meno di 10 milioni al
mese".
Dal dicembre 1979 al dicembre 1981 comanda la prestigiosa Divisione
Pastrengo a Milano per poi arrivare nel 1982 alla massima carica
per un carabiniere: vice Comandante Generale dell'Arma.
Con le promozioni arrivano altre decorazioni: croce d'oro per
anzianità di servizio, medaglia d'oro di lungo comando, distintivo
di ferita in servizio, una Medaglia d'Argento al Valor Militare,
una di Bronzo al Valor Civile, 38 encomi solenni, una medaglia
mauriziana.
Al suo fianco compare, dopo la morte dell'amatissima moglie Dora
Fabbo, una seconda moglie giovanissima e decisa: Emanuela
Setti-Carraro. E' un periodo durissimo, però il futuro sembra
sorridergli.
La grande guerra di
mafia
Alla nomina a Prefetto di Palermo il ministro degli Interni,
Virginio Rognoni, comincia a pensarci poco prima delle festività
natalizie del 1981. L'escalation mafiosa è fortissima e l'austero
generale sembra la persona giusta per arrestarla. Ne parla prima
con l'allora presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, poi con
i segretari dei cinque partiti di maggioranza ed infine sonda gli
umori delle forze di opposizione. Da tutti un aperto consenso e nel
marzo 1982, Rognoni, comunica a Dalla Chiesa la nuova nomina.
Dallas non esita a manifestare perplessità, ma suadente Rognoni gli
dice: "Caro generale, lei va a Palermo non come Prefetto
ordinario ma con il compito di coordinare tutte le informazioni
sull'universo mafioso". Il Ministro conta di dargli tutti i
poteri in vigore per il suo compito; il generale, che sa quanto sia
vana la parola 'coordinamento', vuole poteri reali, uomini, mezzi e
fondi (saranno concessi solo al suo successore).
A maggio 1981, giunto a Villa Whitaker, trova una situazione
pesante perché è scoppiata una gran guerra tra le cosche.
Il conflitto si scatena a causa di un progetto, ideato da Don
Stefano Bontade e Totò Inzerillo (il principe di Villagrazia), che
prevedeva la creazione di una nuova Las Vegas ad Atlantic City. Il
guadagno netto stimato si aggira intorno ai 130 miliardi di lire
all'anno. La raccolta dei fondi per l'operazione si rivela un
successo, ma un controllo dei contabili di Cosa Nostra scopre un
ammanco di 20 miliardi.
Nell'estate in cui c'è Dalla Chiesa a Palermo ci sono 52 morti e 20
lupare bianche.
Poi arriva la
morte
Nella lotta a Cosa Nostra la morte è una costante con cui occorre
fare sempre i conti. "Purtroppo in questa difficile battaglia
gli errori si pagano. Quello che per noi è una professione, per gli
uomini di Cosa Nostra è questione di vita o di morte: se i mafiosi
commettono degli errori, li pagano; se li commettiamo noi, ce li
fanno pagare. (...) Da tutto questo bisogna trarre una lezione. Chi
rappresenta l'autorità dello Stato in territorio nemico, ha il
dovere di essere invulnerabile. Almeno nei limiti della
prevedibilità e della fattibilità". Sono parole del giudice
Falcone, tuttora attuali e vere, anche se talvolta Cosa Nostra si è
dimostrata più abile e forte: di Chinnici, di Borsellino, dello
stesso Falcone.
Gli uomini d'onore sanno benissimo di non essere invulnerabili e di
doversi proteggere oltre la paranoia.
Dalla Chiesa, seguito da cento occhi, ascoltato da cento orecchie,
è immerso nei veleni di Palermo e circondato da molti onorevoli e
notabili che mal nascondono una viva preoccupazione.
Operazione Carlo
Alberto
Significativo uno scambio di battute a
distanza sui giornali.
Dalla Chiesa: "C'è una crescita della mafia, che va radicandosi
anche come realtà politico-malavitosa".
Martellucci: "Io ho la vista acuta, eppure non ho mai visto la
mafia".
Dalla Chiesa, alla commemorazione del Colonnello dei Carabinieri
Russo ucciso dalla mafia: "Aveva tutti e cinque i sensi
sviluppati, ma la mafia l'ha ammazzato".
Il prefetto di Catania: "La mafia, qui da noi, non
esiste". Il generale capisce che deve muoversi in fretta,
prima che sia troppo tardi. Il primo giorno da Prefetto a Palermo
si fa portare a Villa Whitaker da un tassista. Altre volte si fa
vedere a sorpresa tra la gente, incontra gli allievi dei licei, gli
operai nei cantieri. Vuole scuotere la paura e suscitare il
consenso.
Non si fa illusioni: "Certamente non sono venuto per sgominare
la mafia, perché il fenomeno mafioso non lo si può sgominare in una
battaglia campale, in una guerra lampo, un cosiddetto Blitz. Però
vorrei riuscire a contenerlo, per poi sgominarlo". Infatti non
rinuncia alla richiesta di poteri e mezzi. Quanto ai poteri,
l'articolo 31 dello Statuto regionale della Sicilia sancisce che le
Forze di Polizia sono sottoposte disciplinarmente, per l'impiego e
l'utilizzo, al governo regionale. Come dire che se c'è un governo
regionale mafioso, esso ha legalmente più potere del rappresentante
dello Stato.
Dalla Chiesa chiede fatti e poteri veri, ma a Roma si è restii a
conferirgli poteri più significativi di quelli del ministro degli
Interni.
Anche così, tuttavia, Dalla Chiesa agisce. In due successivi blitz,
interrompe con 10 arresti il summit dei vincitori corleonesi a
Villagrazia, mentre in via Messina Marine scopre una raffineria di
eroina con una produzione di 50 chilogrammi a settimana.
Nel giugno 1982 invia il rapporto dei 162, una vera mappa del
crimine organizzato. Al vertice ci sono i Greco di Ciaculli, con
attività a Tangeri e in Sud America. Insieme ad essi i Corleonesi,
il clan di Corso dei Mille. I perdenti Inzerillo, Badalamenti,
Bontade, Buscetta sono stati invece massacrati.
Per 20 giorni i magistrati tacciono poi spiccano 87 mandati di
cattura e 18 arresti, ma restano latitanti una ventina dei più
grossi tra cui Michele Greco, il Papa, braccio violento di suo zio
Totò Greco detto l'ingegnere.
Poi segue un rapporto della Guardia di Finanza sul mondo delle
false fatture e dei contributi pubblici finiti nelle tasche di noti
esponenti di Palermo e Catania. Inoltre il generale rispolvera
l'efficace arma delle indagini su comparati, parentele e amicizie:
avvia un'indagine sui registri di battesimo e nozze per vedere
quali politici abbiano presenziato a eventi di famiglie mafiose.
Riesamina anche vecchie voci di pranzi di ex-ministri con potenti
boss e, con dodici agenti della Guardia di Finanza, fa setacciare
ben 3.000 patrimoni.
Cosa Nostra decide che è il momento di risolvere il problema. Il 3
settembre 1982 trenta pallottole di Kalashnikov falciano Dalla
Chiesa e la moglie Emanuela Setti-Carraro mentre un altro killer
liquida l'agente di scorta, Domenico Russo. Lui tenta di proteggere
la moglie col suo corpo, ma il killer spara prima a lei.
Epilogo
Al funerale ci
sono molte grida in favore della pena di morte. Solo Pertini ha
potuto raggiungere indisturbato la sua auto mentre altre
personalità sono state circondate, spintonate e colpite con
monetine.
Il 5 settembre arriva una telefonata anonima al quotidiano La
Sicilia: "L'operazione Carlo Alberto è conclusa".
Il Generale Dalla Chiesa siede tra gli eroi che l'Arma dei
Carabinieri ha donato al Paese ed al Popolo italiano, ed anche
quando si affievolisce il ricordo di lontani eroismi, resta
indelebile la nuda, spartana virtù del dovere compiuto in nome di
una società civile.
ONOREFICENZE E RICONOSCIMENTI:
MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE
Motivazione
"Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti. Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale offriva costante esempio di coraggio.
Sicilia Occidentale, settembre 1949 - giugno 1950"
(Decreto Presidenziale 10 febbraio 1953)
MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR CIVILE
Motivazione
"Comandante di Legione territoriale accorreva, in occasione di un disastroso movimento sismico, nei centri maggiormente colpiti, prodigandosi per avviare, dirigere e coordinare le complesse e rischiose operazioni di soccorso alle popolazioni. Malgrado ulteriori scosse telluriche, persisteva nella propria infaticabile opera, offrendo nobile esempio di elevate virtù civiche e di attaccamento al dovere.
Sicilia Occidentale, gennaio 1968."
(Decreto Presidenziale 27 settembre1970)
MEDAGLIA D'ORO AL VALOR CIVILE
Motivazione
"Già strenuo combattente, quale altissimo ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere.
Palermo, 3 settembre 1982".
Monumenti:
Ventiquattro, tra lapidi, busti, e sculture, i monumenti dedicati alla memoria del Generale Dalla Chiesa. Tra questi il busto commemorativo deposto a Palermo ed il monumento realizzato dall'artista Marcello Sgattoni per il Comune di San Benedetto del Tronto dal titolo "... e la pietra gridò", ispirato ad una frase del Vangelo : "Se non direte la verità grideranno le pietre, verità in nome delle quali Dalla Chiesa ha dato la vita".
Intitolazioni di scuole, caserme, piazze, vie e parchi cittadini:
Prime tra tutte Roma che, il 25 aprile 1983 ha cambiato la denominazione della Via Legnano, prospiciente la Scuola Allievi Carabinieri, in Via Carlo Alberto Dalla Chiesa. In Italia sono alcune centinaia le strade, i plessi scolastici, le caserme dell'Arma dei Carabinieri e le strutture pubbliche, intestate alla memoria del Generale.
LIBRI :
La vita e le vicende professionali del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il cui barbaro assassinio ha avuto vasta eco anche sui più importanti quotidiani internazionali ed è riportato nell'autorevole periodico "THE TIMETABLES OF HISTORY"; edito dal "The wall street journal", sono state oggetto di numerosissime pubblicazioni, tra cui spiccano i seguenti libri :
Film.
Tra le opere cinematografiche ispirate dalla figura del Generale Dalla Chiesa spicca "Cento giorni a Palermo" di Giuseppe Ferrara (1984), cui si aggiungono:
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Elenchiamo qui di seguito alcuni Links che possono risultare utili:
CARABINIERI
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QUESTURA di TREVISO